Il
monumento a cui gli abitanti di Isolabona sono più legati è, senza
alcun dubbio, la fontana costruita nel 1486 dagli antichi abitanti di
Isolabona come si può ancora leggere nella data scolpita nella sua
parte superiore, quando l'America era ancora da scoprire.
Da allora,
per più di cinque secoli, ininterrottamente, ha donato la sua fresca
acqua ad uomini ed animali. Di forma ottagonale, dotata di una
capiente vasca di raccolta in pietra, al centro della quale di erge
una colonna in pietra sormontata da una vasca circolare,
inizialmente, forse, dotata di solo due “rugli” (getti)
attraverso i quali sgorga acqua perenne. Uno è rivolto verso la
“Bunda” (la via principale che unisce la piazza piccola con la
piazza grande) mentre l’altro è diametralmente opposto ed entrambi
sono ornati da una testa dall’aspetto diabolico scolpita nel marmo
dalla cui bocca sgorga lo zampillo.
Nonostante
le ricerche svolte nell’Archivio storico e le ricognizioni nella
memorialistica disponibile, rimane ancora avvolto dal mistero il
contesto generale in cui avvenne la sua costruzione e, nello
specifico, a quali maestranze sia stato affidato l’incarico, da
dove provengano le lastre di pietra e i marmi impiegati e quale sia
stato il suo costo finale. Alla luce di queste gravi lacune, appare
quanto mai indispensabile riferirsi agli storici e ai viaggiatori
che, in epoche diverse e a vario titolo, della fontana si sono
occupati.
Nel
libro dello storico originario di Isolabona Andrè Cane Au fil de
la Nervia possiamo trovarvi preziosi riferimenti. Questo volume,
che narra aspetti curiosi e dimenticati della quotidianità paesana,
è ai più sconosciuto, così come solo pochi anziani hanno un
qualche ricordo dell’autore. Il libro è ambientato interamente
nella Isolabona dei primi decenni del Novecento, e il susseguirsi dei
capitoli illustra con grande incisività aspetti delle feste
tradizionali, dei ritmi e degli usi contadini, coloriti episodi di
vita quotidiana e la bizzarria di alcuni personaggi.
A
questo noto personaggio, l' Amministrazione comunale ha conferito la
cittadinanza onoraria.
La
nostra storica fontana è stata anche «fonte» privilegiata di
ispirazione per gli artisti-viaggiatori.
William
Scott nel suo viaggio nella valle Nervia percorse certamente il breve
tragitto verso la fontana descritto da Cane e la ritrasse verso il
1890. È certamente una delle immagini più belle che possiamo
trovare nel suo libro Rock Village of the Riviera stampato a
Londra nel 1898.
Un
altro noto viaggiatore Eugène Chigot ripercorse nel 1912 le orme di
Scott. Anch’egli ritrasse la fontana di Isolabona; si tratta di
un’altra immagine piuttosto nota che compare nel volume di Antoine
Descheemaeker Eugène Chigot-Itinéraires.
Analizzando
questi due disegni si possono notare alcune differenze sostanziali:
nel lavoro di Scott del 1898 essa è rappresentata con quattro ugelli
dai quali fuoriesce l’acqua – così come riportato da Cane –,
mentre in quello di Chigot ne compaiono solo tre.
Si
tratta di due rappresentazioni diverse, ma allo stesso modo
veritiere, è infatti probabile che in origine la fontana fosse
dotata di due sole fuoriuscite per l’acqua e che in un tempo a noi
ignoto siano stati praticati altrettanti fori nel vaso di
decantazione allo scopo di attenuare la pressione dei due getti.
Il
fatto che nelle citate immagini i getti passino da quattro a tre –
nel breve tempo che intercorre tra i due lavori – potrebbe essere
legato a problemi di carenza idrica o ad una momentanea riduzione dei
consumi. Ad avvalorare la tesi che in origine i fori fossero solo due
contribuisce la presenza di due soli motivi scultorei di figure
mostruose dalle cui bocche fuoriesce l’acqua. E, a questa
conclusione, sono giunti anche gli esperti dei Beni culturali che
negli anni ’90 hanno praticato interventi restaurativi sul
monumento, lasciando attivi solo i due fori originari.
Nella
sua ultracentenaria esistenza la fontana ha assolto a compiti
diversi: in assoluto è stata fonte privilegiata dalla quale
attingere acqua per uso domestico e alla quale abbeverare gli
animali, ma le sue pietre umide sono servite nei secoli ad affilare i
coltelli dei macellai e dei contadini, come dimostra eloquentemente
lo stato di consunzione di alcune lastre.
E,
il grave danno arrecato alla fontana nel 1858, appare chiaramente
legato proprio alla turba provocata dagli animali durante
l’abbeveraggio.
Ora
sappiamo che la lastra originaria che la ricopriva doveva essere di
marmo bianco, così come il vaso di espansione e i relativi motivi
ornamentali e che sia la cupola in marmo grigio che reca la data 1486
sia la pietra dello stesso materiale che la sovrasta vennero
collocate dopo il 1858.
Fotografia
e testo forniti dalla nostra collaboratrice Roberta Sala ©